Pubblicate le motivazioni della condanna degli ex vertici della banca condannati lo scorso ottobre a Milano

leonardo-drs-non-quotato-wall-streetdi Guido Talarico

Dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza di condanna emessa dal tribunale di Milano contro gli ex vertici del Monte dei Paschi di Siena, fonti vicine a Leonardo Spa dicono che l’Amministratore delegato in carica, Alessandro Profumo, potrebbe a breve rassegnare le dimissioni dalla carica. Una scelta che fino a ieri sembrava poco probabile ma che la nettezza del giudizio e la durezza delle parole dei giudici milanesi, sommata alla mancata quotazione della controllata DRS, rendono ora invece un’ipotesi alquanto concreta. Come avevamo già anticipato lo scorso dicembre (vedi link in basso), la complicata situazione economica finanziaria più gli innumerevoli guai giudiziari dell’Ad rendevano particolarmente fragile quella che a tutti gli effetti è ancora la più importante azienda del Paese nel settore della difesa al punto che le dimissioni erano soltanto un fatto di tempo.

Profumo invece, nonostante più di una persona a lui vicino gli avesse suggerito la strada delle dimissioni anche per potersi meglio difendere in vista del processo d’appello, è voluto restare al suo posto. Aggrappandosi a due speranze. La prima è l’ormai fallita quotazione negli Stati Uniti di DRS, con la quale Profumo sperava di dare un po’ di fiato alle fiacche casse dell’azienda. La seconda speranza era che le motivazioni della sentenza di condanna di primo grado fossero meno stringenti. Ora che entrambe le speranze sono andate disattese, la strada per Profumo sembra obbligata. C’è infine da aggiungere una terza considerazione per lui pregiudizievole che nasce dall’assoluzione, “perché il fatto non sussiste”, di Claudio Descalzi e dei vertici Eni sull’affaire Nigeria. Se questi fossero stati condannati, per Profumo forse si sarebbe aperto uno spiraglio. Anche se la differenza evidente tra le due realtà è che Eni va bene mentre Leonardo no. In ogni caso ora tutto gioca a sfavore di Profumo (Salvini, tanto per fare un nome, giorni fa, aveva già chiesto le sue dimissioni). Vedremo nei prossimi giorni.

Intanto guardiamo più da vicino cosa hanno scritto i giudici di Milano. “Non residuano dubbi, all’esito dell’istruttoria, circa la piena consapevolezza dell’erroneità della contabilizzazione a saldi aperti, desumibile dal granitico compendio probatorio raccolto, articolato in plurimi e convergenti elementi di significativa pregnanza“. E uno dei passaggi chiave delle motivazioni con cui i giudici di Milano, lo scorso 15 ottobre, hanno condannato a sei anni di reclusione e a una multa di 2,5 milioni a ciascuno degli ex vertici di Mps, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, rispettivamente ex presidente e ad, per le accuse di aggiotaggio e false comunicazioni sociali (in relazione alla prima semestrale 2015 della banca).

I giudici spiegano anche come “i fatti per cui si procede siano stati oggetto di una previsione originaria unitaria e di un medesimo disegno criminoso“. Condotte la cui “gravità” di “singolare insidiosità e pure reiteratamente perpetrate, quanto a Profumo e Viola“, non possono consentire di concedere le attenuanti generiche. I giudici parlano di una “spiccata capacità a delinquere”.

Per i giudici – come ha sottolineato Adnkronos – c’è, da parte dei condannati in primo grado, “l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico” desumibile “dall’insidiosità del falso (perpetrato scientemente) nonché dalle modalità stesse di divulgazione della contabilizzazione alternativa, integrando i prospetti pro forma il più sofisticato degli inganni“. Profumo e Viola sono stati anche interdetti dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese nonché incapaci di contrattare con la pubblica amministrazione per due anni “massimo edittale che si giustifica in considerazione della singolare offensibilità degli addebiti e della pericolosità sociale dei prevenuti dagli stessi evincibile“.

Il presidente Floris Giulia Tanga nelle motivazioni entrando anche nel merito della vicenda ha spiegato che “sussiste anche il fine di ingiusto profitto, principalmente in favore della banca stessa, parsa navigare in migliore acque grazie al falso, che ne ha accresciuto la percezione di affidabilità in termini patrimoniali, regolamentari nonché strategici, essendoci dissimulata la massiccia operatività in invendibili“.

A caldo Profumo, in una dichiarazione resa all’Ansa insieme a Fabrizio Viola, ha detto di non voler entrare “nel merito delle motivazioni della sentenza, che sono oggetto di approfondimenti da parte dei nostri legali, in vista del ricorso in Corte d’Appello, nel quale chiederemo la revisione radicale della sentenza di primo grado“. Ma la domanda che in queste ore riecheggia di più nelle stanze di Piazza Monte Grappa è la seguente: “Può il Governo Draghi, in un momento storico come questo, salvare un manager condannato ed interdetto ed evidentemente non in grado di gestire al meglio un’azienda strategica per il Paese come Leonardo?”. Non dovremo aspettare i posteri per avere la sentenza.

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