di Guido Talarico
“Profumo rimetta il mandato”. Senza se e senza ma. Una richiesta forte e precisa quella che fa il Movimento 5 Stelle il giorno dopo la condanna a sei anni, per aggiotaggio e false comunicazioni sociali, ricevuta in primo grado da Alessandro Profumo, attuale amministratore delegato di Leonardo, e da Fabrizio Viola, due banchieri che all’epoca dei fatti erano rispettivamente presidente ed amministratore delegato di Monte dei Paschi di Siena. Tra le varie inchieste in corso, Profumo e Viola sono stati condannati (anche ad un risarcimento da 2.5 milioni) per il filone che riguarda i titoli derivati dei fondi Alexandria e Santorini. Le false comunicazioni sociali e l’aggiotaggio erano relative alla semestrale del 2015.
Scontato il ricorso in appello (gli avvocati difensori parlano di sentenza “sbagliata”) e la reazione di un Profumo “sorpreso e amareggiato”, la questione ora è tutta politica. Il primo ad avere aperto le danze è stato Alessandro di Battista: “per adesso, è un condannato in primo grado. Può, per opportunità politica, continuare a guidare un’azienda come Leonardo? Secondo me no. Ecco perché insistemmo mesi fa sul punto delle nomine”. A queste parole è seguito il secco Tweet del Movimento 5 Stelle che ha chiesto la remissione del mandato.
La partita è complessa e di fatto supera anche la testa di Profumo. In attesa di giudizio vi è infatti un altro big dei manager di stato, vale a dire Claudio Descalzi che da maggio 2014 è amministratore delegato di Eni e che come Profumo nella scorsa primavera è stato confermato nella carica da questo Governo. Il destino di Profumo dunque condizionerà, in caso di eventuale condanna, anche quello del petroliere più potente d’Italia. E’ anche per questo che la sentenza di Profumo ha mandato in fibrillazione tutte le stanze del potere romano.
Su questa vicenda infatti per il Premier Giuseppe Conte si potrebbero aprire più fronti, uno con il suo partito di riferimento che, come abbiamo visto, ha già assunto una posizione molto intransigente, l’altro, di converso, con il Partito Democratico (Profumo è stato confermato nella carica in primis da Paolo Gentiloni) e un altro ancora con le opposizioni che con grande probabilità utilizzeranno anche questa occasione per scagliarsi contro il governo, sottolineandone divisioni e scelte sbagliate.
In termini formali la strada che ha davanti Profumo appare stretta. Nonostante l’azienda si sia affrettata a diramare una nota nella quale si sottolinea che “non sussistono cause di decadenza dalla carica” in realtà girano vari pareri di segno opposto. Tra i quali questo: “Dopo questa sentenza Leonardo non può più presentare il certificato previsto dall’art. 80 del codice dei contratti pubblici che attesta l’assenza di condanne del legale rappresentante. Inoltre, da domani il Casellario Giudiziale riporta la condanna, quindi pur essendo soggetta ad appello e la sanzione accessoria dell’interdizione quinquennale dai pubblici uffici soggetta ad appello, il reato è di natura economico che, ai sensi della legge Severino, dovrebbe indurre l’interessato a dare le dimissioni od il socio a trasferire i poteri gestori al Presidente o altro amministratore. Anche cooptato dall’esterno in sostituzione coatta.”
Poi c’è anche il pregresso che complica le cose, forse non formalmente ma sostanzialmente si. Ai tempi della prima nomina, Profumo, sul quale già pendeva il rinvio giudizio per i derivati di MPS, fu difeso e salvato dall’allora ministro dell’economia (ed azionista di Leonardo), Carlo Padoan che fece passare il suo nome, spiegando che la conglomerata pubblica non aveva ancora recepito la direttiva Saccomanni del 2013 (che conteneva le clausole etiche) e che dunque non sussistevano impedimenti. Un ragionamento che oggi, dinnanzi ad una prima sentenza di condanna, è assai difficile da giustificare. Senza contare che il recente arrivo di Padoan ai vertici di Unicredit, istituto guidato per molto tempo dallo stesso Profumo, farebbe facilmente gridare nemici ed oppositori alla ricostruzione del quartierino gestito da furbetti di ricucciana memoria.
La sensazione è che ora lo scontro salirà, soprattutto sulle pagine dei giornali, ma che alla fine nulla accadrà e tutto resterà inalterato con un Profumo magari ferito nell’orgoglio ma ancora in sella. Questo almeno fino alla sentenza che riguarda Descalzi. Se il boss dell’Eni infatti dovesse essere assolto allora le cose per Profumo potrebbero cambiare in peggio. Molto dipenderà dal livello di conflittualità del Movimento 5 Stelle. Maggiore è la fibrillazione maggiore e la necessità del Governo di fare concessioni. Anche a quelle giustizialiste con le quali esponenti come Alessandro di Battista contano di recuperare spazio.
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