Con la riforma costituzionale il premier dovrebbe essere eletto a suffraggio universale diretto e contestualmente al Parlamento. Un cambio di premier nella legislatura è possibile solo una volta e occorre che sia scelto tra i parlamentari delle stesse fila e si vincoli allo stesso programma
di Mario Tosetti
La riforma costituzionale che introduce per la prima volta in Italia l’elezione diretta del premier assume un volto sempre più concreto. Il testo ha già avuto l’approvazione della maggioranza e nella giornata del 3 novembre arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri. La riforma delle riforme, come l’ha definita la Casellati che sul tema ha una delega ad hoc e sta lavorando da mesi, andrebbe a modificare tre articoli della Costituzione: l’88 sul potere del capo dello Stato di sciogliere le Camere, il 92 sulla nomina del premier e il 94 sulla mozione di fiducia e sfiducia al governo. In sostanza, dalla prossima legislatura le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e per il rinnovo delle Camere dovrebbero avvenire tramite un’unica scheda elettorale.
Nelle ultime ore è stata introdotta una novità interessante, il premier eletto a suffraggio universale e diretto si può cambiare nel corso della legislatura ma nevessario che sia un parlamentare eletto nelle stesse fila della coalizione che ha vinto le elezione e che si vincoli a osservare il programma. Ad ogni modo questo cambio è possibile solo una volta. La ratio della decisione è abbastanza evidente: con questa regola si tenta di garantire la stabilità dei governi ed evitare i continui cambi di premier e non da ultimo cancellare la possibilità che si ricorra a governi tecnici.
Eppure, questa stessa modifica trascina con sè un rischio rilevante. Il pericolo, cioè, che il vero capo dell’esecutivo sia il sostituto e non quello eletto direttamente in quanto solo il secondo, di fatto, ha pieni poteri. “Prima che la Consulta bocciasse la legge regionale perché in contrasto con l’articolo 122 della Costituzione in Calabria si era aperta la partita su chi dovesse essere il candidato non a presidente della Giunta ma a vicepresidente, che in quanto candidato a possibile unico successore poi inamovibile era ruolo più ambito del presidente… nessuno, insomma, voleva più essere il candidato presidente da eleggere direttamente”, ha evidenziato Giuseppe Calderisi, illustre esperto di regole istituzionali e leggi elettorali.
A parte questo va sottolineato che la riforma che introduce l’elezione contestuale del capo del governo eletto dal popolo e il rinnovo del parlamento da vita ad una forma di governo che non ha precedenti. E’ stato inoltre ammorbidito uno dei simboli della forma di governo parlamentare finora in vigore: il fenomeno della fiducia. Nel testo predisposto dalla ministra si ipotizza che, nel caso in cui il premier si dimetta o decada dal suo ruolo, il presidente della Repubblica possa assegnare l’incarico di formare un nuovo governo al premier dimissionario o a un altro parlamentare eletto e collegato al presidente del Consiglio, “per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere”. Si tratta della norma anti ribaltone voluta dalla Lega in una versione ammorbidita rispetto a quella iniziale che permetteva di sostituire il premier eletto in caso di cessazione dalla carica solo se votato dalla stessa identica maggioranza iniziale.
Nella formula attuale il premier eletto potrebbe proseguire la sua attività di governo anche senza l’appoggio della maggioranza, avrebbe infatti la possibilità di tornare di fronte alle Camere per allargare la maggioranza iniziale con il vincolo, però, di portare avanti il programma di governo con cui sono vinte le elezioni. Dal punto di vista del legislatore il vincolo del programma invece del vincolo della stessa maggioranza dà maggiore flessibilità al sistema ed evita al premier di governare sotto ricatto dei partner minori.