Il guazzabuglio internazionale esalta ancor più le incoerenze con l’imminente adesione ai Brics di altri sei Stati (e una lista di attesa di altri 34): Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi
di Gianni Perrelli
L’India, potenza emersa (quasi un miliardo e mezzo dì abitanti, sorpassata la Cina, e Pil in costante crescita), nel secolo scorso era catalogata fra i paesi in via di sviluppo. Fiancheggiatrice durante la guerra fredda dell’Unione Sovietica in geopolitica e nelle alleanze economiche e militari. Oggi, a seconda delle convenienze, sfoggia panni diversi. Continua a intrattenere cordiali relazioni con Mosca rifiutandosi di condannare l’aggressione all’Ucraina. Ma flirta contemporaneamente con gli Stati Uniti per contrastare in Asia la supremazia di Pechino. Appartiene al G20, di cui ha recentemente ospitato un vertice disertato per dispetto dal leader cinese Xi Jinping. Ma nello stesso tempo – sempre in funzione anti-Cina – aderisce al Quad, un’alleanza di sicurezza strategica al fianco di Usa, Giappone, Australia. Ed è – insieme a Brasile, Russia, Cina e Sudafrica – membro fondatore dei Brics, il raggruppamento delle economie più dinamiche del cosiddetto Sud del mondo, contraltare al G8 che rappresenta le maggiori democrazie industriali del pianeta.
In tutto questo labirinto diplomatico il governo di Nuova Delhi si deve disimpegnare una volta a fianco di Pechino e due contro, due volte a fianco di Washington e una contro, due volte a fianco di Mosca e una contro. Senza rinunciare, nella difesa delle tradizioni, a un’autonomia che la spinge a rivalutare le vecchie radici inaridite dal colonialismo e a ribattezzarsi in molti documenti ufficiali Bharat. E a inorgoglirsi per l’ascesa di Rishi Sunak (origini indiane) a primo ministro del Regno Unito da cui fino al 1947 dipendeva.
I nuovi incroci di alleanze fluide sconvolgono le fedeltà ideologiche di un tempo e disegnano una mappa mondiale à la carte. In cui il Vietnam formalmente ancora socialista, dove quasi 60 mila soldati statunitensi hanno perso la vita nelle guerra persa negli anni Settanta, cerca la protezione del vecchio nemico americano anche in questo caso per arginare i tentacoli espansionistici di Pechino. E la stessa mossa difensiva compiono le Filippine di Ferdinand Marcos junior che cancella il patto stipulato con la Cina dal predecessore Rodrigo Duterte e riapre le braccia a Washington. Perfino la Mongolia, un tempo ventre molle del comunismo, schiacciata fra i colossi Cina e Russia, dopo la visita del Papa a Ulan Bator annuncia una storica visita di Stato del suo primo ministro negli Stati Uniti. Analogamente, Papua Nuova Guinea si affretta a stringere legami militari con gli Stati Uniti e l’Australia per evitare di entrare nell’orbita dalla Cina che ha già stipulato un accordo di sicurezza nel Pacifico con le Isole Salomone. Anche l’Armenia, ex repubblica sovietica che dopo il conflitto perso con l’Azerbaijan per il controllo del Nagorno – Karabakh si è sentita tradita da Mosca, è tentata di voltare le spalle alla Russia e di chiedere sostegno a Biden magari anelando in prospettiva un ingresso nell’Unione Europea sulla scia di Ucraina, Georgia e Moldavia.
Piccoli dispetti si registrano anche nell’area delle alleanze inscalfibili. La Cina, protettrice storica della Corea del Nord, non può aver gradito l’avvicinamento di Putin in cerca di munizioni a Kim Jong-Un. E Mosca, che in Siria ha tenuto strenuamente in vita il regime di Damasco, avrà guardato sicuramente con fastidio al recente viaggio a Pechino di Bashar Al Assad in cerca di capitali.
Ma la bussola della convenienza di corto respiro rischia di abbattere ormai anche convergenze che erano ritenute fuori discussione. Ed ecco che in Polonia il Pis, partito conservatore al potere del premier Mateus Morawiecki nemico giurato di Mosca, decide di sospendere la fornitura di armamenti all’Ucraina dopo le proteste dei contadini (la base elettorale del governo di Varsavia) per la vendita sottobanco del grano che Kiev è costretta a esportare via terra attraverso i paesi limitrofi. In Polonia si vota il 15 ottobre: più che la solidarietà internazionale potè il consenso.
In un’ottica non di contrasto ma di riconciliazione una scelta à la carte può apparire anche il viaggio di Carlo III a Parigi, ricevuto in pompa magna da Emanuel Macron: preludio secondo alcuni politologi di un primo timido passo del Regno Unito verso un ritorno nell’Unione Europea dopo gli esiti nefasti della Brexit.
La schizofrenia degli opportunismi di giornata crea faglie anche in Italia, con Giorgia Meloni che in Europa sul fronte dell’immigrazione sollecita appoggi a Ursula von der Leyen (partito popolare), presidente della Commissione europea, e il suo vice Matteo Salvini che rilancia l’alleanza con Marine Le Pen, leader francese dell’estrema destra.
Il guazzabuglio mondiale esalta ancor più le incoerenze con l’imminente adesione ai Brics di altri sei Stati (e una lista di attesa di altri 34): Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi. L’allargamento include più della metà della popolazione mondiale e un Pil superiore a quello del G8. E se la Cina è già riuscita a mettere d’accordo Iran e Arabia Saudita, ponendo le basi per la fine del conflitto nello Yemen, resta da capire come si concilino visioni strategiche, alleanze militari e strategie economiche di paesi con livelli di crescita (si va dalla ricchissima Arabia Saudita all’Argentina sull’orlo del crac) e differenze culturali e religiose così diverse. Accomunati solo dall’obiettivo di non essere più condizionati sulla strada dello sviluppo dalla schiacciante egemonia delle potenze occidentali pur senza rinunciare (salvo Russia e Iran) ai benefici del dialogo coi paesi economicamente più evoluti del pianeta. Ancor più confuso e velleitario appare l’intento del G77, un pulviscolo intergovernativo di paesi non tutti in difficoltà (c’è anche il prospero Qatar) a cui aderisce dall’esterno la multipresente Cina, che si è riunito recentemente all’Avana e sotto l’etichetta di Global South si ripromette pomposamente di creare nientemeno che un nuovo ordine dell’economia mondale.
“Grande”, sosteneva Mao Tse Tung, “è la confusione sotto il cielo. Pertanto la situazione è eccellente”.
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