Nella notte tra il 23 e il 24 aprile sono stati evacuati oltre 100 dei 200 italiani residenti in Sudan compreso l’ambasciatore Michele Tommasi. Contemporaneamente sono partiti anche gli altri cittadini occidentali
di Emilia Morelli
E’ iniziato, dopo quasi 10 giorni dallo scoppio del conflitto, l’esodo di massa dei cittadini occidentali dal Sudan. Oltre 100 dei circa 200 italiani residenti in Sudan, incluso l’ambasciatore Michele Tommasi, sono partiti in simultanea alle evacuazioni di diplomatici e civili francesi, tedeschi e spagnoli, dopo le operazioni di rimpatrio già concluse da Usa e Regno Unito.
“Tutti gli italiani che hanno chiesto di partire dal Sudan sono in salvo ed in volo verso Gibuti”, ha scritto su Twitter Antonio Tajani nella notte tra il 23 e il 24 aprile. Sempre via Tweet, i paramilitari hanno rivendicato di aver “evacuato con successo” 41 cittadini italiani e lo staff diplomatico, dopo che lo stesso leader Mohamed Hamdan Daglo aveva annunciato un colloquio telefonico con Tajani in giornata.
Nel frattempo si registrano i primi tentativi di mediazione in un conflitto che in meno di due settimane è costato, secondo i dati dell’Oms, già oltre 400 vittime e più di 3500 feriti. In particolare il presidente turco Erdogan si è offerto ufficialmente di ospitare i negoziati ad Ankara dopo aver avviato colloqui telefonici con i due generali in guerra tra loro: il capo delle forze armate e presidente di fatto del Sudan Al-Burhan e il capo dei paramilitari Daglo, detto “Hemetti”. Tentativi di mediazione anche dall’Ue. L’Alto rappresentante per la politica estera Borrell ha parlato con il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita Faisal bin Farhan degli “sforzi necessari” per placare le violenze in corso.
Gli scontri in Sudan, iniziati il 15 aprile, rappresentano una vera e propria resa dei conti tra Al-Buhran e Daglo, sue vice nella giunta militare che ha governato finora il Paese e avrebbe dovuto traghettarlo verso la transizione democratica. I due generali hanno conquistato sempre più potere dopo la caduta dell’ex dittatore al-Bashir nel 2019, per poi orchestrare insieme il colpo di Stato che ha condotto nel 2021 alla fine del “consiglio sovrano” misto fra esponenti civili e militari. Tuttavia, la rivalità tra i due generali è stata covata nel tempo ed ha condotto allo scontro aperto a cui stiamo assistendo, iniziato – secondo la versione ufficiale- a causa di un dissidio sui tempi di integrazione dei paramilitari nelle forze armate presiedute da Al-Burhan.
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