di Emilia Morelli

Ebbene, alla fine è successo. Da oggi sono state tagliate del tutto le forniture di gas russo all’Italia. Lo ha fatto sapere Eni attraverso il suo sito.  “Gazprom ha comunicato che non è in grado di confermare i volumi di gas richiesti per oggi, considerato che non è possibile fornire gas attraverso l’Austria”, ha scritto Eni riservandosi di comunicare immediatamente aggiornamenti qualora la situazione dovesse cambiare e le forniture essere ristabilite.

Nel dettaglio, un portavoce di Eni ha spiegato all’Ansa che “a partire da oggi Gazprom non sta più consegnando il gas ad Eni poiché, stando alle sue comunicazioni, non sarebbe in grado di ottemperare agli obblighi necessari per ottenere il servizio di dispacciamento di gas in Austria dove dovrebbe consegnarlo. Ci risulta però che l’Austria stia continuando a ricevere gas al punto di consegna al confine Slovacchia/Austria. Stiamo lavorando per verificare con Gazprom se sia possibile riattivare i flussi verso l’Italia”.

Fortunatamente, grazie alla politica energetica posta in essere dal governo Draghi per rendere l’Italia indipendente dalle forniture russe, l’offerta di gas russo rispetto a quella complessiva a disposizione dell’Italia era ormai inferiore al 10%. Pertanto l’impatto della sospensione delle forniture non ha risvolti determinanti. Grazie al piano di potenziamento e diversificazione delle forniture gli oltre 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno , importati da Mosca fino allo scorso anno, potranno essere progressivamente sostituiti e, in relazione al gas via gasdotto, l’importazione di gas dall’Algeria dovrebbe progressivamente aumentare raggiungendo i 9 miliardi tra il 2023 e il 2024.

Nell’immediato futuro l’Italia potrà contare su circa 4 miliardi di metri cubi addizionali dal nord Europa e sulle prime forniture addizionali di GNL in particolare dall’Egitto. Dalla prossima primavera, inoltre, inizierà ad arrivare in modo importante tutto il gas naturale liquefatto addizionale da Paesi come Egitto, Qatar, Congo, Angola e Nigeria, per complessivi 4 miliardi nel 2023 e 7 miliardi nel 2024.

Ad ogni modo, la crisi energetica e il conseguente aumento dei costi non è certamente l’unico problema con cui deve misurarsi l’Italia. Si assiste, infatti, ad un nuovo record per i prezzi dei prodotti alimentari, con i listini del comparto che a settembre registrano una crescita su anno dell’11,8%. Lo ha fatto sapere il Codacons, a seguito dell’anali dei dati Istat sull’inflazione.

In cima alla lista dei prodotti che hanno maggiormente risentito dell’aumento dei prezzi troviamo l’olio di semi con un’impennata in media a settembre del 60,5% rispetto allo scorso anno. Il prezzo si è avvicinato a quello dell’olio d’oliva e il Codacons ritiene che, se la guerra in Ucraina dovesse continuare, potrebbe addirittura superarlo. Tra gli altri generi alimentari il burro rincara del 38,1%, la margarina del 26,5% e il riso del 26,4%. Latte conservato e farina costano oltre il 24% in più, mentre la pasta aumenta del 21,6%, lo zucchero del 18,4%, i gelati del 18,2%. La nota del Codacons si conclude con la richiesta improrogabile di interventi fiscali sui beni di prima necessità.

La situazione è, quindi, complessa sotto innumerevoli aspetti. Tuttavia l’agenzia di rating Moody’s si è presa del tempo per osservare gli sviluppi politici italiani e la formazione del nuovo governo prima di aggiornare le sue previsioni per l’Italia. Il giudizio, dopo il 5 agosto, comunque non lasciava ben sperare. Per Moody’s l’ Italia ha un livello Baa3, il penultimo partendo dal basso, appena al di sopra del livello definito junk “spazzatura”, e outlook negativo. Le prospettive sono state abbassate a causa dell’incertezza derivante dalle dimissioni del governo Draghi. Basti pensare che all’indomani del voto in Italia l’agenzia di rating ha inviato un avviso all’ Italia contenente i cinque punti chiave che il nuovo esecutivo dovrà affrontare:  entita’ del debito pubblico, Pnrr, costo dell’energia, inflazione, costo del finanziamento (in una fase di rialzo dei tassi).

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