di Annachiara Mottola di Amato
La Camera dei deputati ha approvato a maggioranza la proposta di legge denominata “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” che introdurrebbe in Italia il suicidio assistito, ponendo fine a un vuoto normativo che la Corte Costituzionale ha chiesto di colmare sin dal 2019. La proposta, approvata con 253 voti favorevoli, 117 contrari e un’astensione, passa ora al Senato dove il passaggio si prevede più difficile a causa di una maggioranza numericamente più debole.
L’approvazione del testo da parte della Camera arriva dopo un iter lunghissimo e faticoso. Il primo passo in questa direzione era stato fatto con la sentenza del 2019 della Corte Costituzionale sul caso di Fabiano Antoniani, conosciuto come “Dj Fabo” e di Marco Cappato accusato di averlo aiutato a suicidarsi.
In questa occasione la Corte aveva stabilito che non è sempre punibile «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Sulla base di questo assunto la Corte aveva assolto Cappato e aveva aperto la strada a un nuovo corso sul fine vita in Italia, sollecitando il Parlamento a legiferare in materia.
Con questa decisione si era aperto un lungo dibattito tra le forze politiche e gli attori della società civile sulle modalità e le condizioni della procedura per la morte volontaria medicalmente assistita. Le resistenze maggiori a una nuova disciplina della materia si erano incontrate soprattutto nell’area di centro destra che, anche nel voto di pochi giorni fa alla Camera, si è dimostrata compatta nel votare contro il testo di legge.
La proposta attualmente in esame è il frutto di questi dibattiti, dei lunghi scontri in seno alle commissioni Giustizia e Affari sociali, del fallimento del referendum sull’eutanasia attiva, inammissibile per la Corte Costituzionale, nonché del tentativo del centrosinistra di reagire, accorciando i tempi per raggiungere un accordo e poi votare un testo alla Camera.
Il risultato di tale iter complesso è un testo chiaro e preciso nelle sue finalità esplicitate nell’art. 1 della legge che: “disciplina la facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile, di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita”.
La norma riconosce tale facoltà “alla persona che sia maggiorenne, capace di intendere e di volere e di prendere decisioni libere” sempre che la patologia da cui è affetta sia tale da causare “sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili” attestate dal medico curante.
Altro requisito richiesto è che la persona sia sottoposta a “trattamenti di sostegno vitale”. Non è necessario essere attaccati ad una macchina, essendo ricomprese nella previsione normativa tutte quelle terapie farmacologiche, la cui interruzione determinerebbe la morte certa del malato. E ancora si precisa che la persona che intende avvalersi di tale facoltà deve aver in precedenza rifiutato o interrotto un percorso di cure palliative. Il suicidio assistito si configura, pertanto, come il rimedio estremo cui poter ricorrere, se necessario, quando anche il pietoso strumento delle cure palliative , rifiutato o interrotto, non ha raggiunto il risultato sperato.
La proposta di legge fa salva l’obiezione di coscienza di medici e personale sanitario, i quali possono rifiutarsi di eseguire le procedure ma, in tal caso, a salvaguardia del diritto della persona che intende avvalersi della facoltà riconosciuta dalla legge, le aziende sanitarie sono tenute comunque ad assicurare l’espletamento delle procedure previste, della cui attuazione è garante la Regione di residenza del malato.
Nella proposta si precisa che non sono punibili per istigazione al suicidio e omissione di soccorso i sanitari, il personale amministrativo e chiunque abbia aiutato il malato ad eseguire la procedura prevista della legge.
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