di Guido Talarico
Per Associated Medias l’uomo dell’anno 2021 è Alpha Condé, il Presidente della Guinea deposto lo scorso 5 settembre da un colpo di stato militare e tutt’ora tenuto segregato e in isolamento. La nostra è una scelta che si basa sulle qualità dell’uomo, che abbiamo avuto modo di conoscere e di intervistare più volte, sulla sua vicenda personale e politica che qui vi racconteremo, ma è anche una scelta dal forte valore emblematico. Abbiamo infatti indicato Condé come personalità dell’anno appena conclusosi perché egli, al di là della sua persona, rappresenta in qualche modo il simbolo dei paesi in preda a conflitti dimenticati. Il simbolo di quelle democrazie, che finiscono nel cono d’ombra delle organizzazioni internazionali, delle superpotenze e quindi della stampa internazionale, non appena cessano di rappresentare un qualsiasi interesse economico o geopolitico per i grandi del mondo.
Alpha Condé è la nostra personalità del 2021 perché questo ex professore della Sorbona, leader studentesco, profugo e perseguitato e, alla fine, primo presidente eletto della Guinea, è il volto pulito e allo stesso tempo tragico di quei paesi in via di sviluppo che stentano a trovare la strada della democrazia e della crescita sociale ed economica e che troppo spesso, nonostante gli enormi progressi compiuti, come quelli portati a casa nella ultima decade dal Governo di Conakry, vengono abbandonati per mancanza d’interesse al loro destino dalla comunità internazionale. Condé rappresenta insomma la tragedia del popolo guineano, ma allo stesso tempo, e tanto per fare un esempio, non può che ricordarci quel che sta accadendo in queste ore in Somalia, un paese che nel disinteresse generale rischia la balcanizzazione per le divisioni cruente tra il Presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, noto come Farmajo, e il premier Mohamed Hussein Roble che, sostenuto da varie fazioni, tenta di prendere il potere.
Per non parlare della guerra civile scatenata in Etiopia dalla minoranza tigrina che, sospinta in qualche modo dagli americani in chiave anticinese, ha tentato di destabilizzare l’intero Corno d’Africa per fortuna senza riuscirvi. Se non fosse stato per la
fermezza del Primo Ministro etiopico e premio nobel per la pace Abiy Mohamed e dell’alleata Eritrea anche questa area sarebbe finita stritolata dalle guerre tra bande ed etnie. Poi c’è il Sudan ora sull’orlo del baratro dopo che il generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan ha fatto arrestare il Primo ministro Abdalla Hamdok e diversi altri ministri. Da allora le manifestazioni di piazza in favore di una ripresa del percorso democratico sono state represse, spesso anche ricorrendo all’uso della violenza. Un vero disastro. Poi c’è il Ciad. Qui lo scorso aprile, qualche ora dopo aver vinto le elezioni, il presidente Idriss Déby si è recato al fronte dove i suoi militari combattono diverse milizie, a cominciare dalle FACT (Front for Change and Concord in Chad) considerate forze “ribelli”. Durante la visita, in dinamiche confuse e non verificate, è stato ucciso. Da quel momento il Ciad, già instabile per via di spaccature e contrapposizioni tra milizie diverse ma tutte ben armate, è piombato nel caos e nella violenta guerriglia tra bande. Anche in questo caso la comunità internazionale si è ben guardata dall’intervenire. Per non parlare della Libia che, nonostante gli interessi italiani e francesi e l’attivismo turco, e nonostante le parole d’interesse e di disponibilità dell’Europa, da 10 anni rimane ancora un paese in guerra, diviso e dilaniato dagli scontri tra opposte fazioni. Le elezioni avrebbero dovuto avere luogo in dicembre ed invece sono state annullate.
Ma non c’è solo l’Africa. Anche in Myanmar la situazione è drammatica. Nelle elezioni del 2020 i militari alle elezioni avevano preso solo pochi seggi. La maggioranza invece era andata alla coalizione guidata dal Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi. I militari, dopo aver contestato il voto, hanno attuato il più classico del putsch, arrestando i membri del governo, a cominciare proprio da San Suu Kyi. Un gesto gravissimo ma non il più violento. Le cronache riferiscono di torture di massa inferte ai civili e di manifestazioni pacifiche affogate nel sangue. La comunità internazionale ha condannato il golpe militare, ma di fatto poi nessuno ha fatto niente. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per la verità ha proposto una mozione per condannare il golpe, ma Cina e Russia hanno fatto sapere che non avrebbero approvato sanzioni mirate ai responsabili. Il paese tuttora è in balia dei militari, senza che alcuno a livello internazionale si sia interessato alle drammatiche richieste d’aiuto che pur tra mille difficoltà arrivano dalla popolazione.
E potremmo parlare della questione Curda e di quella Siriana o di quella Yemenita. Oppure della presa talebana dell’Afghanistan passata dal silenzio all’indifferenza internazionale, nonostante il carico di ingiustizie e di violenze che sta subendo la popolazione rimasta orfana della protezione occidentale. Potremmo anche soffermarci a lungo su conflitti rimasti latenti ma mai sopiti, come la disputa del Nagorno Karabakh che contrappone da decenni da Armenia ed Azerbaigian, con la Russia in mezzo a fare da arbitro impegnato più che altro nell’antico gioco romano del “dividi et impera”.
Una narrazione questa che potrebbe continuare a lungo, riferendo di tutte quelle altre dispute che avvengono nei “cortili” delle super potenze. L’Ucraina per la Russia, Taiwan per la Cina tanto per fare due degli esempi più macroscopici. Ma ci fermiamo qui certi di avere già reso l’idea del perché a nostro giudizio di questo 2021 appena trascorso il personaggio simbolo è il Prof. Alpha Condé. Il deposto e dimenticato Presidente della Guinea a nostro giudizio è la sineddoche perfetta: l’uno che rappresenta tutte quelle situazioni di cui abbiamo parlato.
Vediamo dunque di conoscere più da vicino il Prof. Condé per capire meglio le ragioni della nostra scelta. La sua è una storia rara: appena eletto, dopo decenni di dittatura e guerre etniche, un professore di economia arriva al potere in una Guinea straziata. Neanche il tempo di ambientarsi ed esplode la bomba Ebola. Una devastazione che uccide, impoverisce ulteriormente e isola la Guinea. Una successione di eventi che avrebbe sconfitto chiunque. Condé si rimbocca le maniche e fa quello che solo lui poteva fare. Rassicura la popolazione, utilizza le sue conoscenze in materia economica, che insegna da molto tempo, attiva le sue eccellenti relazioni internazionali. Con Romano Prodi, quando era presidente della Commissione europea, con François Hollande, con Barak Obama e così via. Passo dopo passo ricostruisce economicamente il paese, lancia una profonda e delicata riforma delle forze armate, rafforza le infrastrutture, lavora generosamente per pacificare le diverse etnie, combatte la corruzione. Si occupa di ogni singolo dossier con un’energia incredibile e i risultati arrivano.
L’incredibile sconfitta di Ebola e la rinascita economica del paese, visibile anche a occhio nudo, gli portano apprezzamenti e riconoscimenti internazionali. Il più importante arriva nel 2017 quando viene eletto presidente dell’Unione Africana. Un incarico che, nonostante l’età, ricopre con la solita energia ed efficienza e che ancora una volta mette a disposizione del suo paese. È innegabile che dalla presidenza dell’Unione Africana Condé è riuscito a tessere relazioni che hanno favorito l’arrivo di investitori internazionali a Conakry. I finanziatori internazionali, pubblici e privati, hanno fiducia in quest’uomo colto e determinato, dandogli credito sia a livello politico che economico. È così che la Guinea si rimette in carreggiata.
Ma il tempo passa in fretta e la fine del secondo mandato presidenziale va rapidamente verso il termine. Qui Condé, pur tra molti dubbi, fa il passo che molti gli rimproverano e che secondo i più ha funzionato da innesco al golpe militare. Indice un referendum costituzionale (costituzione che il paese nella sua giovane storia non aveva mai approvato) per sottoporre al giudizio popolare una serie di riforme, compresa quella che gli consente di candidarsi per un terzo mandato. La sua spiegazione è semplice: “ho avuto dalla comunità internazionale fiducia e fondi per dare un futuro alla Guinea – dice il Presidente – dunque sento il dovere di un terzo mandato per avere il tempo che Ebola ci ha sottratto ,completare il lavoro che ho avviato e dare così un futuro al paese”. Le opposizioni insorgono, ma il referendum si compie con un successo clamoroso per Condé, che così ha la strada spianata per una nuova candidatura. Anche le successive elezioni presidenziali sono un plebiscito per il vecchio leone mandinga. Qualche moto di piazza, molte proteste ma poi tutto fila liscio fino al golpe dello scorso 5 settembre.
Condé ha una vita cinematografica. Le sue doti di leadership le esprime sin da ragazzo e si manifestano già nel periodo parigino dove nel giro di pochi mesi diventa uno dei capi della fratellanza africana francese. Poi il lungo impegno politico contro le cruente dittature che si succedono nel suo paese. Impegno che gli costa l’esilio e anche la prigione. Appena rieletto esce miracolosamente vivo anche da un attentato. Era il 2011, un gruppo di uomini armati si avvicina alla sua residenza e spara razzi e granate nella sua camera da letto. Condè è anziano ma ancora agilissimo. Riesce a sgusciare via al primo rumore e a mettersi in salvo. La gente lo ama, le opposizioni naturalmente no. Il referendum, come abbiamo detto, inasprisce gli animi e crea l’umore adatto al golpe. A capo dei golpisti é un ex pupillo di Condé, il colonnello quarantunenne Mamady Doumbouya, ex legionario francese tornato in Guinea tre anni fa messo proprio dal Presidente a capo delle Forze Speciali.
ll leader dell’opposizione guineana, Cellou Dalein Diallo, sconfitto da Condé nelle ultime elezioni dell’ottobre 2020, si è subito schierato a favore del golpe. Intervistato dalla BBC ha spiegato che il putsch “è un atto storico che completa la lotta avviata dai movimenti della democrazia. Un’opportunità per un nuovo inizio per il paese”. Dal 5 di settembre scorso, con buona pace di Diallo, la democrazia in Guinea è sospesa, Alpha Condè rimane in isolamento, le opposizioni sono fuori da ogni gioco, le elezioni una promessa per il futuro e gli investitori in posizione di attesa, ma sempre più freddi su questo piccolo paese che aveva saputo rialzare la testa.
Ci sono pochi capi di stato in Africa che possono presentare come bilancio del proprio lavoro i risultati prodotti da Alpha Condé. Da paese fortemente indebitato e con scarsissima credibilità internazionale l’ex professore della Sorbona era riuscito, nonostante il dramma di Ebola, a trasformare la sua Guinea in un hub per molte multinazionali, creando infrastrutture e sviluppo. Una strada ancora da percorrere fino in fondo ma ben tracciata. Soltanto chi conosce le difficoltà che si incontrano a quelle latitudini può realmente comprendere quale miracolo abbia fatto in pochi anni Condé. E’ per questo che lo identifichiamo come personalità internazionale dell’anno 2021. E con lui, tornando alla sineddoche, indichiamo anche tutti quei leader che con genuina passione e capacità si dedicano, e talvolta si immolano, a migliorare le sorti delle proprie genti. E indicando lui sottolineiamo anche la miopia della comunità internazionale, incapace, in mancanza di forti interessi, di azioni di polita estera lungimiranti e di grande
respiro. Il tema dei confini, del predominio, della conquista è ancora molto dibattuto tra gli studiosi. La domanda di fondo che ancora permane è quale sia l’alternativa all’imperialismo, alla fame di potere e di ricchezza che connota il genere umano. Una risposta univoca, convincente, possibile ancora non si vede. Forse si potrebbe cominciare a fare in modo che un presidente che ha vinto il referendum e le elezioni in maniera meno contestata delle ultime tenutesi negli Stati Uniti d’America dovrebbe essere rimesso subito al suo posto o quanto meno in libertà. Liberarne uno per dare fiducia agli altri, un modo per dire che ancora oggi al sistema democratico non è stata trovata alternativa.
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