di Emilia Morelli
Sono passati dieci anni, da quando l’11 marzo del 2011, è accaduto il disastro nucleare di Fukushima. Nonostante il tempo intercorso, però, i lavori di smantellamento delle due centrali nucleari e la rimozione del materiale radioattivo sono ancora agli albori.
Dieci anni fa uno tsunami e un terremoto di magnitudo 9 si abbatterono sul Giappone, in particolare nella regione Tōhoku, la parte nord-orientale dell’isola di Honshu, innescando il disastro nucleare di Fukushima. Dapprima black out e impianti allagati, seguì il danneggiamento dei radioattori da cui esalarono fumi radioattivi e tossici. Nei giorni seguenti vi furono, poi, ulteriori esplosioni e speculare dispersione di materiali radioattivi.
Ora, la circostanza per cui i lavori per lo smaltimento dei materiali radioattivi sono ancora agli inizi e che l’acqua contaminata continui ad accumularsi all’interno di ciò che resta della centrale nucleare fa rabbrividire. La Tepco (Tokyo Electric Power Co.), società che gestisce gli impianti di Fukushima, ha preventivato che saranno ancora necessari 30 anni e 76 miliardi di dollari per recuperare il combustibile nucleare inutilizzato, rimuovere i detriti fusi delle barre, demolire i reattori ed eliminare l’acqua di raffreddamento.
Si tratta, senza dubbio di operazioni delicate e quella che, tra tutte, solleva i maggiori dubbi è lo smaltimento dell’acqua di raffreddamento. Si pensi che, in dieci anni si sono accumulate 1,24 milioni di tonnellate di acqua contaminata. Nonostante sia intercorso il tentativo di depurare l’acqua di raffreddamento, alcuni elementi chimici e tossici continuano a sedimentare nell’acqua che, peraltro, continua ad aumentare all’interno della centrale.
In proposito la Tepco ha dichiarato di volersi impegnare al massimo nell’operazione di depurazione, ma i tempi sono veramente stringenti. Si accumulano circa 160 tonnellate di acqua al giorno e lo spazio per la momentanea conservazione sarà presto esaurito ma ancora più preoccupante è la proposta di smaltimento che pare ricevere più consensi. L’acqua di raffreddamento dovrebbe essere liberata in mare, in maniera graduale, così che i residui radioattivi si dissolvano nell’oceano. Qualora fosse questa la soluzione che la Tepco e il Giappone decidano di perseguire sono autoevidenti i danni che ne deriverebbero all’ambiente e all’industria ittica.
(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati